Giustizia amministrativa
Equitalia non può negare l'accesso alle cartelle esattoriali
Non è sufficiente il deposito in semplice copia degli estratti di ruolo, agli atti del fascicolo di causa, perché vanno esibiti gli atti in copia integrale e conforme all'originale. I principi ribaditi nella sentenza del TAR Campania, Sez. I del 9.2.2015, n. 308.
“Non è sufficiente, ai fini dell’interesse alla estrazione degli atti, relativamente a cartelle esattoriali e relative relate di notifica per i quali si chieda l’accesso, il mero deposito in semplice copia degli estratti di ruolo, agli atti del fascicolo di causa, perché vanno esibiti gli atti in copia integrale e conforme all’originale, allo scopo di consentire la piena conoscenza del loro contenuto”.
Questi i principi ribaditi nella sentenza del TAR Campania, Sez. I del 9.2.2015, n. 308 con la quale il giudice partenopeo ha affermato che il silenzio di Equitalia - integrante implicito diniego dell’istanza di una società - è per definizione immotivato: già soltanto questo dato di fatto sarebbe sufficiente, in cospetto di una disciplina dell’accesso improntata, in linea generale, alla massima trasparenza nell’azione della P. A. ed al principio di leale collaborazione tra P. A. e privato, oltre che in presenza dell’obbligo di legge, di natura generale, di fornire adeguata motivazione ad ogni provvedimento amministrativo, a determinare l’accoglimento del ricorso, in assenza del richiamo da parte della resistente alla sussistenza, nella specie, di specifici divieti che osterebbero all’ostensione degli atti richiesti.
Infatti, in materia deve trovare applicazione l’indirizzo della giurisprudenza amministrativa, compendiato nella seguente massima: “Ai fini della sussistenza del presupposto legittimante per l’esercizio del diritto di accesso deve esistere un interesse giuridicamente rilevante del soggetto che richiede l’accesso, non necessariamente consistente in un interesse legittimo o in un diritto soggettivo, ma comunque giuridicamente tutelato, non potendo identificarsi con il generico ed indistinto interesse di ogni cittadino al buon andamento della attività amministrativa, ed un rapporto di strumentalità tra tale interesse e la documentazione di cui si chiede l’ostensione. Tale nesso di strumentalità deve, peraltro, essere inteso in senso ampio, posto che la documentazione richiesta deve essere, genericamente, mezzo utile per la difesa dell’interesse giuridicamente rilevante, e non strumento di prova diretta della lesione di tale interesse. In sostanza, l’interesse all’accesso ai documenti va valutato in astratto, senza che possa essere operata, con riferimento al caso specifico, alcun apprezzamento in ordine alla fondatezza o ammissibilità della domanda giudiziale che gli interessati potrebbero eventualmente proporre sulla base dei documenti acquisiti mediante l’accesso e quindi la legittimazione all’accesso non può essere valutata alla stessa stregua di una legittimazione alla pretesa sostanziale sottostante”.
Sotto tale profilo, precisa il TAR, non può negarsi che la società ricorrente vanti un interesse qualificato ed una certa legittimazione ad accedere alla documentazione negata, posta l’inconfigurabilità di esigenze di tutela di riservatezza ed essendo del tutto evidente la propria posizione differenziata e la titolarità di una posizione giuridica soggettiva, anche meramente potenziale atteso che, per la giurisprudenza: “Il contribuente vanta un interesse concreto e attuale all’ostensione di tutti gli atti relativi alle fasi di accertamento, riscossione e versamento, dalla cui conoscenza possano emergere vizi sostanziali procedimentali tali da palesare l’illegittimità totale o parziale della pretesa impositiva".
Quanto, poi, all’eccezione d’inammissibilità/infondatezza del ricorso, nella parte in cui lo stesso è volto a ottenere l’accesso, non solo alle relate di notifica delle cartelle specificate nell’istanza, ma anche alle stesse cartelle, il giudice per disattenderla, ha richiamato la seguente la massima, espressione di un indirizzo consolidato della giurisprudenza: “La previsione dell’art. 26, d. P. R. 29 settembre 1973 n. 602 comma 4, ai cui sensi “il concessionario deve conservare per cinque anni la matrice e la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o l’avviso di ricevimento e ha l’obbligo di farne esibizione su richiesta del contribuente o dell’Amministrazione”, , ma disciplina il rapporto giuridico corrente tra l’agente della riscossione e il debitore con specifico riferimento all’onere probatorio della pretesa di pagamento. Il che comporta che l’accesso ai ripetuti atti non può essere negato, avuto conto che è solo sulla scorta degli stessi che può essere comprovata, con onere a carico dell’agente di riscossione, l’idoneità del titolo esecutivo e non opposto nei termini di legge a sorreggere validamente le pretese di cui trattasi ovvero a sorreggere validamente dinieghi di rilascio di certificazioni di regolarità fiscale”.
Tanto implica che non può negarsi, in astratto, il diritto di parte ricorrente d’acquisire copia delle cartelle di pagamento: l’agente della riscossione avrà dunque l’obbligo di ricercarle nei propri archivi e di consentirne l’accesso alla ricorrente, salvo che lo stesso agente della riscossione non dichiari, fornendone prova certa, che per alcune, o tutte, di esse, non è più in possesso dell’originale o di eventuali copie, nel qual caso, evidentemente, non potrà seguire l’accesso, ma ciò non per il preteso ostacolo giuridico, rappresentato dalla prefata disposizione dell’art. 26 del d. P. R. 29 settembre 1973, n. 602, bensì in applicazione del principio generale espresso dal noto brocardo: “Ad impossibilia nemo tenetur”.
Non ha pregio, in definitiva, l’assunto di Equitalia, secondo cui, terminato il periodo entro il quale la p. a. deve necessariamente custodire i documenti di propria competenza, la medesima sarebbe esonerata dal correlativo obbligo di esibizione degli stessi.
La Direzione
(12 febbraio 2015)
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