Giustizia amministrativa
Quando una semplice copertura in alluminio e' considerata veranda
E' necessario il permesso di costruire nella sentenza del Consiglio di Stato del 4.5.2015.
Il TAR in primo grado aveva rigettato il ricorso proposto contro l’ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi relativamente ad “un manufatto di alluminio con copertura in panelli di lamiera, edificato sul balcone ed addossato alla parete perimetrale dell'edificio delle dimensioni di circa mt. 1,50 x 0,94 x 3, 20 di altezza, dotato di impianto idrico ed elettrico; una caldaia con scarico dei fumi a parete".
Ad avviso del Consiglio di Stato la consistenza del manufatto, realizzato senza assenso edilizio su un terrazzo dell’appartamento del ricorrente rientra nella definizione edilizia propria della veranda, definizione per la quale non rileva la chiusura su tutti i lati del manufatto stesso, essendo invece necessario e sufficiente l’effetto di incremento di volumetria e di modifica della sagoma dell’edificio causato dall’intervento edilizio (solo in presenza di una tettoia o di un porticato aperto da tre lati può essere esclusa la realizzazione di un nuovo volume).
Per effetto di questa considerazione, il Consiglio di Stato, Sezione Sesta, con la sentenza del 4.5.2015 ha rigettato l'appello evidenziando come:
- la veranda in questione non può essere considerata mero volume tecnico a protezione della caldaia, alla cui definizione difetta l’autonomia funzionale anche solo potenziale e la non adattabilità ad uso abitativo o diverso da quello necessario per contenere, senza possibili alternative e comunque per una consistenza volumetrica del tutto contenuta, gli impianti tecnologici serventi la costruzione principale: le dimensioni del manufatto sono, all’evidenza, ben maggiori di quelle necessarie a contenere la caldaia;
- in quanto comportante modifica del volume, della sagoma e del prospetto dell’edificio, l’intervento sanzionato rientra nella nozione della ristrutturazione edilizia come definita dall’art. 10, comma 1, lett. c) del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, la cui realizzazione sconta il previo permesso di costruire da parte del Comune, a prescindere da qualunque considerazione circa la natura pertinenziale o meno del manufatto realizzato e dallo specifico oggetto dell’attività difensiva spiegata dal Comune nel corso del giudizio di primo grado;
- alla legittimità del provvedimento repressivo di un abuso edilizio non è necessaria, per pacifico e condiviso principio giurisdizionale, la specificazione di una specifica motivazione, né rileva l’asserita disparità di trattamento con altre situazioni analoghe, disparità che non può, in ogni caso, consentire il protrarsi di situazioni comunque non conformi alle norme, né la tutela del preteso legittimo affidamento, dato che la repressione di abusi edilizi costituisce, per il Comune, atto vincolato non soggetto a limiti temporali.
In conclusione, l’appello è stato respinto.
Enrico Michetti
La Direzione
(5 maggio 2015)
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