Pedaggi autostradali
Aumenti indiscriminati bocciati dal Consiglio di Stato
Il pedaggio non e' un'imposizione fiscale e deve essere assicurata la corrispondenza tra pagamento e fruizione
La Quarta Sezione del Consiglio di Stato con la sentenza depositata in data 7.4.2014 risolve la controversia concerne la legittimità del DPCM del 25 giugno 2010, che ha delineato la disciplina transitoria (sino al 31/12/2011) delle maggiorazioni tariffarie sull’esazione nei caselli di autostrade in concessione, interconnesse con strade in diretta gestione ANAS.
E’ pur vero che il decreto impugnato non ha più alcuna efficacia, essendo ormai trascorso il periodo transitorio previsto dal DL 78/2010, peraltro sospeso in via cautelare dal TAR, ed ancor prima, nelle more del giudizio cautelare, dalla stessa ANAS, cionondimeno la sentenza contiene principi importanti che si reputa opportuno di seguito riportare.
Il Consiglio di Stato afferma in primo luogo che il pedaggio si configura quale prestazione commisurata alla richiesta di utilizzo di un tratto stradale e non quale imposizione fiscale, sicchè è necessario, al di la delle pur comprendibili difficoltà realizzative, predisporre un meccanismo che assicuri corrispondenza tra pagamento e fruizione.
La natura straordinaria, sperimentale e transitoria, se può giustificare modalità più gravose di esazione, non può certo considerarsi quale causa di giustificazione di un prelievo svincolato dalla fruizione.
Anche il motivo concernente la necessaria contestualità delle previsioni transitorie e di quelle definitive, è privo di fondamento. Il giudice di prime cure ha correttamente osservato che l’art. 15 del DL 78/2010, pretendendo che l’individuazione delle stazione presso le quali effettuare il prelievo avrebbe dovuto essere fatta con il medesimo DPCM incaricato di stabilire “criteri e modalità” per l’applicazione del pedaggio su strade ed autostrade in gestione diretta ANAS, ha imposto una contestualità istruttoria ed un coordinamento fra disciplina transitoria ed a regime, non altrimenti assicurabile a mezzo dell’autonoma ed esclusiva disciplina della prima.
L’amministrazione appellante censura infine la sentenza anche in relazione alla disapplicazione dell’art. 15 comma 2, operata dal primo Giudice in forza del carattere dettagliato ed incondizionato della direttiva n. 2006/38/CE nella parte in cui la stessa definisce il pedaggio quale somma corrisposta in proporzione alla distanza percorsa.
Il motivo è fondato. La direttiva 2006/38/CE e la sentenza della Corte di Giustizia C-157/02 (emanata nella vigenza della precedente direttiva 1999/62), pure richiamata dal primo giudice, hanno ad oggetto la discriminazione, diretta o indiretta, fondata sulla nazionalità del trasportatore, ovvero sull'origine o sulla destinazione del trasporto, nell'applicazione dei pedaggi e dei diritti d'utenza.
Dalle stesse può ricavarsi il principio per il quale, nei passaggi transfrontalieri, gli utenti che percorrono una minore distanza devono essere ammessi a pagare un pedaggio proporzionalmente ridotto.
Nel caso di specie, tuttavia, non vengono in rilievo percorsi che per il loro carattere transfrontaliero possano provocare discriminazioni indirette basate sull’origine o sulla destinazione del trasporto, sicchè non v’è ragione per applicare la direttiva comunitaria.
Piuttosto viene in rilievo un principio di ragionevolezza, implicito anche nella definizione comunitaria di pedaggio, che impone proporzione tra fruizione e somme da corrispondere: ma tale aspetto è stato già oggetto della valutazione che precede (par. 3.), sulla base della normativa interna interpretata in modo costituzionalmente orientato
Valentina Romani
(7 aprile 2014)
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