Favoritismi fiscali
Il Presidente della Commissione UE va alla guerra contro Renzi, ma inciampa sullo scandalo "LuxLeaks"
Juncker, nella foto con Renzi e Van Rompuy, quando era Premier del Lussemburgo aveva concesso favori fiscali a centinaia di multinazionali e societa' estere.
Non si può certo dire che abbia portato bene al Presidente della Commissione dell’Unione Europea, il lussemburghese Jean-Claude Juncker, l’idea di reagire con insolita durezza alle legittime proteste del nostro Premier contro l’eccessiva burocratizzazione della UE. L’ex Primo Ministro del Granducato si era inalberato dopo una domanda fatta da un tedesco sulle dichiarazioni rilasciate da Matteo Renzi.
La posizione assunta da Juncker ha sorpreso non poco anche chi lo conosce da vari decenni, perché il politico lussemburghese, arrivato ai vertici dell’Unione grazie all’appoggio di Angela Merkel, rappresenta il perfetto prototipo (escludendo Prodi) dei vari presidenti della Commissione che si sono succeduti negli ultimi decenni, scelti quasi sempre fra i rappresentanti di Paesi non particolarmente importanti, né politicamente, né economicamente.
I popolari tedeschi posseggono da oltre mezzo secolo il controllo del pacchetto di maggioranza del Partito Popolare Europeo (PPE), prima formazione politica del continente, ed hanno sempre fatto la scelta di puntare su piccoli leader di piccoli Paesi, fedelissimi prima a Bonn ed ora a Berlino. Classici esempi di questo tipo di scelta sono sia l’ex Presidente della Commissione, il portoghese Manuel Barroso, sia l’attuale, Jean-Claude Juncker; ma lo era anche l’ex Presidente dell’Eurogruppo, il belga Herman van Rompuy.
Questi stagionatissini ed espertissimi esponenti del PPE, hanno tutti la comune caratteristica di essere considerati fedelissimi del leader della CSU-CDU di turno (i democristiani tedeschi, in pratica) e di non avere un grande peso specifico sul piano del potere politico personale a livello continentale. In questo modo, probabilmente, risulta molto più facile “controllarli” politicamente.
La cosa strana, è che un esponente di questo tipo di “politico vecchio stampo”, come è appunto Juncker, abituato alle riunioni dove tutto è già deciso dai leader di riferimento e dove non si alza mai la voce, abbia scelto all’improvviso di sfidare Matteo Renzi sul piano della “comunicazione” e della trasparenza, appellandosi addirittura ad una presunta legittimazione popolare (per la verità, nei fatti, assolutamente inesistente) che lo metterebbe, a suo parere, sullo stesso piano dei primi ministri dei vari Paesi membri.
Tesi alquanto suggestiva, ma priva di qualunque riscontro sul piano delle procedure e della regole europee, anche dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, che raccomanda di scegliere il Presidente della Commissione tra gli esponenti del partito che ha avuto più suffragi. E’ di tutta evidenza, infatti, che questa è cosa ben diversa da una “legittimazione popolare” vera e propria.
Ad ogni buon conto, dopo questo sorprendete sussulto di orgoglio, neanche a farlo apposta, il politico lussemburghese arrivato da pochi giorni al vertice della UE, è stato letteralmente travolto dalle polemiche scoppiate in tutto il mondo per la c.d. vicenda “Luxleaks”, che riguarda tutta una serie di favoritismi fiscali concessi a circa 300 multinazionali e società straniere, quando Juncker era Premier del Granducato (e lo è stato per ben 18 anni).
E’ scoppiato il finimondo, perché se questa concessione può dirsi formalmente legittima, dato che ogni Paese membro assume liberamente le decisioni in materia fiscale, questo fatto appare assolutamente intollerabile se compiuto da chi ora rappresenta -come Presidente della Commissione UE- anche i Paesi che da quelle decisioni sono stati pesantemente penalizzati, trattandosi nella sostanza di una sorta di vera e propria “concorrenza sleale”, avendo agevolato una grande elusione fiscale ai loro danni.
Oltre a questo, occorre aggiungere anche la mancanza di credibilità per chi guida un processo che, in un futuro che secondo alcuni (ad esempio, Eugenio Scalfari) dovrebbe essere il più vicino possibile, si dovrebbe concretizzare in una “Federazione degli Stati Uniti d’Europa”, con ulteriore perdita di sovranità per ogni singolo Paese membro.
Parliamoci chiaro : il protagonista di tutta una serie di scelte discutibilissime che hanno favorito multinazionali e società, danneggiando vari Stati dell’Unione che hanno una tassazione molto più alta, può seriamente pensare di guidare il cammino verso una più intensa integrazione tra i Paesi membri dell’Unione Europea? Sembrerebbero assolutamente legittimi i dubbi in proposito.
C’è da dire, per amor del vero, che l’ex Presidente della Commissione UE tra il 1999 ed il 2004, Romano Prodi, in una sua intervista rilasciata nei mesi scorsi e riportata sul Quotidiano della P.A. in un articolo pubblicato il 14 luglio scorso (dal titolo “Jean-Claude Juncker verso la Presidenza della Commissione Europea”) aveva esplicitato in maniera evidentissima il suo pensiero sul politico del Granducato.
L’ex Presidente del Consiglio italiano, in quell’occasione aveva letteralmente dichiarato in riferimento a Juncker: “ricordo certe sue accanite battaglie per difendere gli interessi lussemburghesi sul segreto bancario e su alcune pratiche finanziarie che non mi erano piaciute”. Più chiaro di così!
Ha ragione il nostro Presidente della Repubblica quando invita tutti a credere di più nell’integrazione europea; ma se i rappresentanti delle Istituzioni dell’Unione si comportano in questo modo, non aiutano certamente a creare e a consolidare una cultura sulla quale si dovrebbe fondare una futura “Federazione degli Stati Uniti d’Europa”.
Moreno Morando
(8 novembre 2014)
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