Pubblica Sicurezza
Permesso di soggiorno: la revoca passa anche per i messaggi su facebook
Sì all'espulsione dal territorio italiano se c'è propaganda su Facebook a favore dello Stato islamico.
Il TAR Lazio, Sezione Prima ter con sentenza del 1 febbraio 2016 n. 1356 ha rigettato il ricorso proposto avverso la revoca del permesso di soggiorno e la conseguente espulsione dal territorio italiano con accompagnamento alla frontiera con il quale il ricorrente pretendeva affermare, tra l'altro, l’infondatezza delle contestazione mosse circa la propaganda su Facebook a favore dello Stato islamico, con pubblicazione della foto di Bin Laden, in quanto a suo dire, l’Amministrazione non avrebbe tenuto conto delle differenze fra Al Quaeda ed Isis.
Inoltre, in relazione ai viaggi in Kosovo e alla partecipazione agli incontri di preghiera, in cui avrebbe manifestato l’intenzione di recarsi in Siria per intraprendere la jihad, il ricorrente contesta l’uso del verbo al condizionale che sarebbe sintomo di un’istruttoria quantomeno perplessa. Da ultimo, anche sulla condotta schiva da lui mantenuta e sul suo mancato inserimento nel tessuto sociale italiano e alla visione di filmati bellici, a dire del ricorrente si tratterebbe di elementi assolutamente indimostrati e, comunque, irrilevanti.
Il giudice capitolino, nel rigettare il ricorso, ha in primo luogo ritenuto legittima la motivazione per relationem, quando, come nella specie, l’autorità emanante fa riferimento agli atti in suo possesso e concernenti indagini effettuate sul ricorrente ed, in particolare, sulla vita e l’attività dal medesimo svolte nel nostro Paese.
Quanto alle singole contestazioni, il TAR ha affermato che:
1. non vi era alcuna necessità che l’Amministrazione desse contezza della frequenza dei messaggi, né, tantomeno, della ricaduta degli stessi sulla sicurezza nazionale, in quanto, soprattutto con riferimento a quest’ultima rilevazione, il pericolo deve considerarsi in re ipsa;
2. il ricorrente, senza negare la fondatezza della contestazione, si spinge ad argomentare una (irrilevante, ai fini di cui ci si occupa) distinzione fra jiiad e Al Quaeda, ammettendo comunque esplicitamente di avere inneggiato al Movimento, sia pur attribuendo tale condotta all’“emotività ed ai sentimenti del momento”, instillati dall’uso di Facebook;
3. in ordine ai viaggi in Kosovo e alla partecipazione agli incontri di preghiera, a parte l’irrilevanza dell’uso del verbo al condizionale, ad avviso del Collegio, si tratta evidentemente, di argomentazioni che costituiscono un completamento del quadro complessivo che ha portato l’Amministrazione a giudicare pericolosa la presenza del sunnominato in Italia: di qui l’irrilevanza del numero di viaggi o la specificazione delle persone cui era stata manifestata la volontà di recarsi in Siria, atteso, altresì, che un’eventuale indicazione nominativa delle fonti, oltre a rivelare informazioni che sono e devono restare riservate, esporrebbe le stesse ad evidenti pericoli per la loro incolumità;
4. Da ultimo, quanto alla contestazione riguardante l’inserimento del ricorrente nel tessuto sociale italiano e gli aspetti del proprio carattere, precisa il Collegio come appaia evidente che il medesimo, nelle proprie difese, non va al di là di mere affermazioni non supportate da alcun principio di prova, anche solo logica.
Fonte: Giustizia Amministrativa
La Direzione
(2 marzo 2016)
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